sabato 24 settembre 2016

il teatro di fine anno

"1916/2016, 100 ANNI IN 1 SERA"
La sera di mercoledì 7 giugno 2016, a fine anno scolastico, abbiamo presentato al Teatro di Balmuccia, il nostro spettacolo teatrale. Lo abbiamo costruito in classe tutti insieme. La recita si divideva in tre atti: il primo ambientato ai tempi della Prima Guerra Mondiale con la vicenda di un bambino che in guerra perde il fratello più grande, il secondo raccontava tre storie dei nostri tempi con i bambini soldato, i bambini profughi e i bambini lavoratori; il terzo atto invece parlava di noi, bambini fortunati.
PRIMO ATTO
La storia è ambientata negli anni tra il 1915, con l'entrata in guerra dell'Austria e il 1918, quando la guerra si è conclusa. La vicenda narra della partenza da casa di un soldato di Valle Mosso nel Biellese, che saluta mamma e fratello minore; alla stazione del treno incontra un altro soldato valsesiano, di Scopello e in Trentino altri nuovi compagni di trincea, i soldati di un battaglione che ha combattuto sul Monte Ortigara. I soldati provengono da diverse parti dell'Italia e parlano i dialetti della loro terra, ma al fronte imparano l'italiano e diventano tutti amici. Ci sono due valsesiani, il tenente di Varallo e un soldato semplice scopellese, un biellese, un trentino, un siciliano, un napoletano, il medico milanese, un'infermiera del novarese. Il soldato protagonista muore proprio nella battaglia dell'Ortigara e l'atto si chiude con un monologo del fratello minore, un bambino, che non lo scorderà mai. Tutti i bambini hanno recitato con le lingue della terra che rappresentavano. Per la scrittura del testo ci hanno aiutato la maestra Elena Brando per il siciliano, i nonni di Loris, Marcello e Carlotta per i dialetti di Valle Mosso, Scopello e Carpignano, il professor Salvatore della Scuola Secondaria di 1° Grado di Balmuccia, per il dialetto napoletano, due professori di Vicenza per il dialetto dell'altipiano di Asiago.

Qui potete vedere alcuni video della recita: copiate il link e aprite.

"Dialogo fra due Trentini dell'altipiano di Asiago"
https://drive.google.com/open?id=0B3lGBvNMqFm8MDBlU3JTX0VvWms


"Vita in trincea e morte del soldato"
https://drive.google.com/file/d/0B3lGBvNMqFm8Smc5VDM4N29RcG8/view?usp=sharing


"Seconda strofa della canzone Tapum"
https://drive.google.com/file/d/0B3lGBvNMqFm8anFvRVoydUpTd0E/view?usp=sharing


"Canzone la tradotta"
https://drive.google.com/file/d/0B3lGBvNMqFm8LU1XSGJjX0gyRWM/view?usp=sharing


"Dialogo fra tenente e soldato per riportare a casa oggetti personali del soldato caduto"
https://drive.google.com/drive/folders/0B3lGBvNMqFm8enVET181X1F6dTQ


"Consegna degli oggetti personali e monologo fratello minore del soldato caduto"
https://drive.google.com/file/d/0B3lGBvNMqFm8R3Q3TWNtRGRZLWs/view?usp=sharing


"1918 la guerra è finita"
https://drive.google.com/file/d/0B3lGBvNMqFm8UXE4a2dFbThOdHc/view?usp=sharing


SECONDO ATTO
La storia è ambientata ai giorni nostri con tre scene in cui recitano tutti i bambini divisi in tre gruppi. Sono storie di bambini che sono direttamente protagonisti della guerra o vittime incolpevoli delle guerre dei grandi o della loro crudeltà.

"I bambini soldato"


"I bambini profughi"


"I bambini lavoratori"


TERZO ATTO
Qui i bambini presentano loro stessi, bambini fortunati che vivono in un Paese in pace. Lo fanno con una canzone rap, con un breve racconto della loro vita scolastica e con un balletto finale.

"Noi bambini fortunati"


"Ballo finale"



Emozioni personali
All'inizio della recita avevo un po' il batticuore perché credevo di non riuscire a dire tutte le parole, però quando si è aperto il sipario ho detto: "Vai, ce la posso fare!" Sono entrato, ho parlato un po' e poi era come parlare in classe, non avevo più niente. Questo teatro mi è piaciuto tantissimo perché abbiamo recitato con voglia.        Leo
Eravamo tutti emozionati, io compreso. Quando sono entrato la prima volta ho notato che avevo le luci negli occhi e questo mi impediva di vedere le persone e quindi ero più tranquillo, però lo sapevo che dietro quei riflettori c'era gente e quindi non ero sicurissimo, però mi sono lasciato andare lo stesso. Avevo un po' di vergogna, però siamo andati tutti bene. I primi 5 minuti mi tremavano un po' le ginocchia. Nonostante un po' di vergogna è stato molto, molto, molto bello.     Yuri
Quando sono entrato in scena mi tremavano le ginocchia e avevo il batticuore forte, però quando ho recitato le prime 4 battute, mi è passato e sembrava di fare le prove. Marci
Durante il teatro di fine anno ho avuto molte sensazioni: batticuore, tremarella, mi scappava la pipì ogni due secondi, avevo l'impressione di sbagliare e che non mi uscissero le parole, ma nonostante tutto il teatro è stato molto bello.    Marco
Ieri sera abbiamo fatto il teatro, ma prima abbiamo mangiato nel ristorante vicino e quando siamo usciti diluviava. Arrivati al teatro, non abbiamo più fatto prove, perchè c'era già gente, ma lo spettacolo è venuto benissimo e ci dicono che siamo stati bravissimi ancora adesso.  Lorenzo e Carlotta
Tutti e due avevamo il batticuore e appena entrato sul palco mit remavano le gambe. Dietro le quinte rimanevo zitto e avevo gli occhi chiusi per stare concentrato e non parlare. Moha e Loris
All'inizio ero molto emozionato, contento e dispiaciuto alla fine della recita perché era troppo bello e sarei andato avanti ancora a recitare. Ho pensato che le parti le sapevamo e quindi dovevo andare per forza bene, e così mi sono calmato.                                                                                 Alberto

L'emozione che hanno dato a me questi ragazzi, sarà difficile da riprovare. Pur avendo provato tante volte le scene, in veste di suggeritrice, dietro le quinte, ci sono stati momenti in cui ho avvertito un nodo alla gola, tanta era l'intensità con cui hanno rappresentato il testo che insieme abbiamo costruito. Ho sempre creduto che il teatro sia una forma di insegnamento molto efficace, ma arrivare a non avere parole, a comprendere ancora una volta che spesso SONO I BAMBINI CHE INSEGNANO A NOI, è qualcosa che difficilmente si riesce a spiegare ma che auguro a tutti di provare.  
Grazie ragazzi, sarete sempre nel mio cuore.                                La vostra maestra Marta



lunedì 30 maggio 2016

Bambini e guerra nell'arte

Durante l'anno tutte le scuole del nostro Istituto hanno lavorato sul tema dell'ARTE e anche noi ci abbiamo provato: abbiamo unito il tema di questo lavoro di storia al tema dell'Istituto. Una volta siamo anche andati su internet e digitando "bambini e guerra nell'arte" e abbiamo trovato dei siti molto interessanti con opere d'arte e poesie. Adesso, a conclusione del lavoro, pubblichiamo le nostre opere.


Bambini naufraghi


Le  guerre iniziano dalle risse 
poi diventano fisse!
I bambini vengono sfruttati 
mentre dovrebbero giocare nei prati.

Marcello












Ci sono tre bambini 
che pensano alla guerra:
e con una dura addizione
esprimono il loro atroce dolore.    

Marco     









Bambino davanti alla morte



Quando un ragazzo vede morire
lui dice "basta soffrire".
Pensa di essere forte col fucile 
ma quando si guarda allo specchio
vede un bambino infelice:
senza libertà di gioco,
vuole andare via da là.

Loris








Bambini in guerra,
da vedere spaventosi,
gli adulti li hanno resi 
bellicosi.
Ormai si sono ossessionati,
al posto di giocare in mezzo ai prati.

Mohamed







Bambini nel terrore




Bambino dentro,
una piccola casina
carina carina
bombardata da un aereo
che crea un putiferio.

Alberto



Mai più guerre perché  non sono belle,
proteggete i bambini,
ancor più i piccolini.
Bombardamenti, colpi di fucile
basta tutto questo,
 mettiamo fine al contesto, 
soldati preparati a morire,
ma poveri
neanche a sentire la voce dei loro cari, 
loro magari,
pensando se moriranno o vivranno, 
ma come vivere...,
per fare una vita no, un inferno,
 morire per niente,
dopo un anno, 
non ce la fanno,


loro non sanno,
è solo il primo anno.                            Yuri



La guerra è brutta e uccide tutti,
e nelle famiglie ci sono i lutti.
La guerra è brutta e distrugge il mondo,
e porta la gente nel buio profondo.
La guerra è brutta, 
la guerra è il male, 
per i bambini è un gioco mortale.

Leonardo 











Abbasso le guerre.        Carlotta




Le fiamme                      Lorenzo












venerdì 6 maggio 2016

L'esperienza in trincea


E' finita l'esperienza della trincea, perché abbiamo terminato la lettura del libro che il Tenente Tancredi Rossi leggeva alla sera ai suoi soldati. Così ognuno di noi ha provato a raccontare l'esperienza. Questa volta abbiamo scelto di pubblicare integralmente i testi di tutti. 


Noi che scendiamo per andare in trincea 
Per tutto l’anno, ogni mercoledì, abbiamo finto di essere soldati della Prima Guerra Mondiale, che dopo le  battaglie, andavano a riposare e a farsi leggere un libro, visto che la maggior parte di essi era analfabeta. Il loro tenente, in questo  caso la maestra, si chiamava Mario Tancredi Rossi, ed era uno dei pochi  a essere andato a scuola. Nella nostra classe abbiamo un cartellone con dei nomi di lavori associati ai nomi di noi alunni e ogni settimana vengono scambiati di posto. Chi a scuola è il metereologo in guerra era la vedetta, chi è l’aiutante in guerra era l’attendente, invece chi è l’aprifila era il caporale. La vedetta andava in trincea con il binocolo, l‘attendente con lo  zaino che conteneva il libro da leggere. Noi siamo andati in trincea più o meno venti volte, anche con pioggia o neve. Abbiamo passato tre stagioni: autunno, inverno e primavera. Quando è finito di piovere siamo andati in trincea, io sono caduto ma fortunatamente c’era Yuri che mi ha sostenuto. 
A me personalmente è piaciuto perché fingere di essere soldati è stato emozionante.                            Loris


Quest’ anno, da novembre ad aprile,  siamo andati in “ trincea” cioè su una montagnetta:  se era bello il tempo stavamo fuori,  altrimenti dentro una casetta. Durante l’esperienza abbiamo letto “Il viaggio di Ulisse”. 
Siamo andati in tre stagioni diverse: autunno, inverno e primavera. Ci è anche capitato di andare con la neve ed è stata una bella avventura ed esperienza.
Andavamo il mercoledì e per noi  c’erano anche dei ruoli: caporale, vedetta e attendente. Il caporale guidava  la squadra, l’attendente portava lo zaino che conteneva la coperta e il libro e stava ultimo vicino al tenete Mario Tancredi Rossi, cioè la maestra; la vedetta invece, arrivata in cima alla montagnetta, estraeva il binocolo e guardava se era tutto tranquillo. Un mercoledì che pioveva, siamo andati nella casetta a leggere e abbiamo visto che gocciolava acqua dal tetto; allora siamo usciti, abbiamo trovato un telo di plastica e   abbiamo  tappato il buco. 
Andare in trincea è stato bello perché era interessante.                                                                Marcello



La trincea è un posto scavato sotto terra per riparare i soldati della Prima Guerra Mondiale dai colpi di cannone, colpi aerei e corpo a corpo. Da novembre fino a quasi fine aprile, abbiamo avuto tutti ruoli diversi che usavano anche i soldati: il caporale era l’aprifila, l'attendente l’aiutante, il segretario di classe era il fotografo e il metereologo della settimana faceva la sentinella. Siamo stati tre stagioni: autunno, inverno e primavera. La mia stagione preferita per andare in trincea è stato l’inverno, perché quando salivamo la montagna avevamo le gambe sotterrate dalla neve e certi miei compagni, come ad esempio Carlotta e Marcello, sono caduti più volte e anche Leonardo, una volta, si è tuffato in mezzo metro di neve. 
Io da una parte avrei voluto fare il soldato e dall’altra parte no. Volevo fare il soldato perché avrei voluto sentire come si stava lì in trincea e non volevo perché non mi piace vedere le persone tutte dissanguate che muoiono davanti a me; però quest’anno l’ho provata e mi è piaciuta tantissimo, anche perché non c’era nessuno oltre a noi e nessuno è morto. Ci siamo scelti dei nomi apposta per onorare i caduti della Prima Guerra Mondiale, ognuno dal monumento del proprio paese.                                                       Mohamed



Noi bambini di  Scopello abbiamo provato a vivere in trincea come facevano i soldati durante la guerra, ma la nostra trincea era un po’ diversa da quella vera. In trincea andavamo a leggere un libro chiamato “Il viaggio di Ulisse”. Avevamo anche dei compiti, cioè la vedetta, il caporale e l’attendente e la nostra maestra interpretava Mario Tancredi Rossi, un tenente. 
Abbiamo fatto questa esperienza da novembre ad aprile, e abbiamo avuto i tempi di ben tre stagioni diverse: l’autunno, l’inverno e la primavera, con la neve, la pioggia e il sole. Le difficoltà che abbiamo incontrato, erano anche pericolose a volte: i rovi, la salita ripida, il "paciocco" quando pioveva, roccia da scavalcare e l’erba scivolosa; per questo abbiamo attaccato una corda a un albero per aiutarci. Quando c’era la neve alcuni miei compagni sono caduti. 
Una volta siamo dovuti andare in un altro posto sui sassi perché per terra c’era la neve. 
Mi è piaciuta questa esperienza perché ho capito come vivevano i soldati in guerra.                       Alberto


Quest’anno da novembre ad aprile siamo andati in trincea circa venti volte. Passavamo su un sentiero dove attaccato ad un albero c’era una corda per aiutarci a salire e a scendere. Arrivavamo in una casetta, sopra una montagnetta, la casetta ci serviva per non farci vedere dal nemico. Quando nevicava, scendere era difficile;  siamo andati una volta mentre nevicava e ci siamo divertiti. 
Quando c’era il sole leggevamo il libro all’aperto sopra una coperta, mentre quando pioveva stavamo al riparo dentro la casetta. Alcuni di noi avevano degli ruoli: la maestra aveva sempre il compito di recitare Mario Tancredi Rossi, cioè il capo di tutta la squadra, io alcune volte sono stato la vedetta e questo compito era abbastanza importante perché, quando si arrivava al rifugio, dovevi estrarre il binocolo e controllare fuori dalla finestra se c’era il nemico che ci attaccava. Poi c’era l’attendente, colui che portava lo zaino con dentro la coperta e il libro. Durante l'anno abbiamo aggiunto anche il ruolo del giornalista che doveva fare foto e video con la telecamera. 
Il libro lo leggevamo nelle stagioni di: autunno, inverno e primavera.  
A me questa avventura di essere soldati è piaciuta moltissimo.                                                       Leonardo


Fino a mercoledì 13 aprile siamo andati in “trincea”, un posto su una montagnetta chiamata “Muntisel”, vicino al parco giochi di Scopello. Nello stesso posto dove andiamo a leggere, c’è una casetta diroccata che abbiamo usato quando pioveva o nevicava. Quando andavamo lì, c’erano dei “ruoli” precisi: il caporale che stava davanti a tutti e li “guidava”, l’attendente, che era la persona che stava in fondo con il tenente Mario Tancredi Rossi, cioè la maestra; la vedetta che controllava se c’erano dei “nemici” e il giornalista che ci riprendeva mentre leggevamo. 
Questa esperienza è durata sei mesi, da novembre ad aprile. 

Il libro che abbiamo ascoltato secondo me è stato il libro più bello che io abbia mai letto.                                                                                                                                                                                      Marco


Noi ogni mercoledì pomeriggio siamo andati a leggere in trincea. Abbiamo chiamato questo progetto "Lettura in trincea" perché noi stiamo studiando la Prima Guerra Mondiale e allora facciamo finta di essere dei soldati in trincea.
La trincea era la casa dei soldati durante la guerra, cioè un buco fatto nella terra o, quando il terreno era molto sassoso, anche costruito con cadaveri o sacchi di sabbia. Noi abbiamo riprodotto, per modo di dire, questa cosa.
Il libro che leggevamo era  tratto dall'Odissea di Omero; ovviamente abbiamo letto con parole molto più semplici. Noi siamo divisi in ruoli: il caporale è l’aprifila, la vedetta è il metereologo e l’attendente è l’aiutante, invece il nostro tenente (Mario Tancredi Rossi)  è la maestra.
Anche durante la guerra c’erano i giornalisti, e noi l'abbiamo fatto con video e foto, mentre un tempo scrivevano. Anche sui giornali c'era la censura, non solo sulle lettere. La censura era una riga di inchiostro nero per non far passare le frasi che i politici di quei tempi non volevano fare leggere alle famiglie o alla gente.
Una volta Carlotta è caduta perché c'era il terreno scivoloso ma anche Leo è caduto quando c'era la neve. Io invece mi sono buttato nella neve e sono scomparso, i miei compagni non mi vedevano più, ero sommerso.
Adesso abbiamo finito il libro, che mi è piaciuto perché era mitologico, con un pizzico di magia ed era molto interessante.                                                                                                   Yuri

La trincea è una specie di rifugio scavato nella terra, da dove i soldati sparavano, mangiavano nella gavetta e dormivano, insomma facevano tutto. La nostra trincea, invece, è una casetta un po’ rotta con una terrazza d’erba. Andandoci, io sono scivolata un paio di volte.  Qui nella foto siamo dentro la casetta in un giorno in cui pioveva.                                                          
                                                                                      Carlotta



Noi fino a mercoledì siamo andati in trincea che in guerra era una buca, solo più lunga della nostra. La nostra trincea era una casetta con un terrazzo di erba. Quando nevicava andavamo nella casetta, sennò stavamo fuori. Avevamo anche dei ruoli: caporale, attendente, sentinella. Siamo andati da novembre ad aprile ma adesso  è finito.  Abbiamo anche avuto delle difficoltà coi rovi e la pioggia e abbiamo anche avuto dei cambiamenti di tempo: l’acqua, la neve e il sole, ma ci siamo andati comunque. Una volta siamo anche andati dà un'altra parte perché c’era la neve.
E' stato molto bello, spero di tornarci.  
                                                                                                                                                      Lorenzo

mercoledì 13 aprile 2016

Un pomeriggio musicale per imparare la storia

I nostri ospiti nell'aula LIM
Nel pomeriggio di mercoledì 6 aprile dalle 14.00 alle 15.20 sono venute due persone a scuola; i loro nomi sono: Alessandro Orsi, appassionato di storia e ex dirigente dell'Istituto alberghiero di Varallo e Daniele Conserva, cantante e attore valsesiano molto conosciuto. Noi bambini ci siamo riuniti tutti nell'aula multimediale per ascoltarli.
Hanno suonato e cantato canzoni della Prima Guerra Mondiale e ci hanno spiegato come era in quel tempo.
Il signor Conserva suonava la chitarra e cantava canzoni che prima venivano spiegate dal professor Orsi, che non presentava solo le canzoni, ma ci parlava anche un po' di guerra.
Daniele Conserva e la sua chitarra
Tante canzoni erano tristi e c'erano quelle un pò più felici; erano: "Generale", "La bella Gigogin", "Il Piave", "Sento il fischio del vapore", "Sul Cappello", "Monte Nero", "Addio padre, addio madre addio", "Le ragazze di Trieste", "La tradotta".
La tradotta che portava al fronte



Il Piave, Monte Nero e Le ragazze di Trieste le abbiamo cantate anche noi.
Ancora Daniele disegnato da un altro bambino
Alessandro Orsi ci ha spiegato tutti i confini dell'Italia prima e dopo la guerra e ci ha detto che gli abitanti del Trentino, del Friuli Venezia Giulia e del Veneto sono scappati all'inizio della guerra e quando sono ritornati hanno trovato tutto distrutto.
Alessandro Orsi e la maestra Anna
mostrano ai bambini la cartina
Qualche volta ci mostrava la cartina geografica per vedere quanto l'Italia rimontava o quando indietreggiava, o il tragitto che facevano i soldati per arrivare a destinazione al fronte. Abbiamo ricordato insieme i nomi di molte montagne dove sono avvenuti i combattimenti più tragici: il Monte Pasubio, il Monte Grappa, l'Ortigara, il Monte Nero e il Carso sul confine tra la Slovenia e il Friuli.
Ci ha spiegato che l'Italia prima era suddivisa in più Stati, anche se lo sapevamo già. Ci ha detto che il Trentino era italiano ma era nelle mani austriache e quindi l'Italia decise di entrare in guerra.
Durante la guerra si parlò soprattutto italiano perché un signore che veniva dal Piemonte non poteva capire il dialetto napoletano, ognuno parlava il suo dialetto, quindi l'italiano per capirsi fu usato molto e la sua diffusione fece un grandissimo passo avanti.
Ci hanno spiegato il significato di tutte le canzoni. "La Bella Gigogin"  era la canzone ufficiale dei Bersaglieri che mentre corrono, ancora oggi,  la cantano. La canzone racconta che la Gigogin non voleva mangiare la polenta perché era gialla come la bandiera dell'Impero austro-ungarico.
"Le ragazze di Trieste" è dedicata proprio alla liberazione di questa città.
"Sento il fischio del vapore" parla di partenze dei soldati e di un ragazzo che si imbarca per andare a combattere in Albania.
Le canzoni che ci hanno presentato erano molto belle ed erano cantate bene, ma soprattutto erano suonate in modo perfetto.
Noi crediamo che se ne siano andati contenti per la giornata e soddisfatti.
Daniele Conserva  e Alessandro Orsi visti da altri due bambini
 Per qualcuno la canzone più bella è stata "Sul cappello" ma altri preferivano altre canzoni: "Addio padre e madre...", "Sento il fischio del vapore", "La bella Gigogin".
Mohamed, dopo questo pomeriggio insieme, si è reso conto di quanto è bella la musica e si è messo a suonare una chitarra che aveva a casa da pochi giorni.
Alla fine dell'incontro i due signori ci hanno ringraziato per l'attenzione.
Questo incontro è stato bellissimo e molto interessante. Ci hanno regalato anche un disco del loro spettacolo con tantissime canzoni che potremo ascoltare ancora e per questo li ringraziamo.















mercoledì 30 marzo 2016

Incontro in classe con un esperto

Venerdì 18 marzo 2016, è venuto a trovarci in classe uno studioso valsesiano che fa parte dell'associazione "Cimeetrincee" di Venezia. Lo studioso si chiama Paolo Montini, secondo noi ha tra i 45 e i 50 anni, lavora all'azienda tessile Loro Piana di Quarona. 




Ci ha raccontato vicende vissute dai soldati nella Prima Guerra Mondiale, ci ha spiegato come si sono svolte alcune battaglie e come funzionavano gli oggetti e ci ha  portato dei reperti trovati proprio dove si è combattuta la guerra. Certi li ha proprio trovati lui durante le sue escursioni, certi gli sono stati dati dall'associazione a cui appartiene. Per lui era la prima volta che andava a parlare in una scuola elementare, perché di solito si reca nelle scuole secondarie a incontrare studenti più grandi di noi.
Per parlare si aiutava con una presentazione fotografica e con schemi. 
Come prima cosa ci ha raccontato di Claudino, il suo bisnonno. Egli aveva partecipato alla guerra e scriveva spesso a casa. Lui sapeva scrivere, ma molti soldati non erano capaci. In ogni lettera che scriveva le prime due parole erano: "carissima moglie" e quindi il suo pronipote, cioè Paolo Montini, ha intitolato il suo primo libro "Carissima moglie", dove ha messo in ordine tutte le lettere del bisnonno. Ci ha fatto vedere le lettere originali del suo bisnonno con le buste. Nelle lettere c'era la censura (una riga di inchiostro nera) quando scrivevano qualcosa che a casa non bisognava sapere, ma a volte le lettere riuscivano a passare. Siccome tantissimi scrivevano a casa e non avevano abbastanza soldi per pagare la spedizione, il comando mise la "franchigia", cioè la possibilità di inviare cartoline gratuite.  
Il suo bisnonno morì mentre faceva la barba agli altri per guadagnare qualche lira e centesimi; gli arrivò un proiettile di obice sulla tenda.
E' stato dato per disperso e non più trovato. 

La Prima Guerra Mondiale è chiamata da tanti "Grande guerra" perché fu "grande" in molti sensi: 5 milioni di soldati al fronte, tanti Stati coinvolti, tantissimi morti e dispersi, tantissima sofferenza, una guerra moderna combattuta in modo molto diverso dalle precedenti, con aerei, mitragliatrici, bombe, cannoni nuovissimi, carri armati, tantissimi chilometri di fronte di battaglia, 600 solo per quello fra Italia e Austria, l'uso dei gas... 

Uno dei luoghi di cui ha parlato è il monte Pasubio che si trova sul fronte tra Veneto e Trentino, dove sono morti 1000 soldati alpini. Gli italiani non riuscivano a conquistarla e quindi decisero di usare una trivella per scavare sotto le trincee nemiche. Dentro al buco che avevano fatto avevano messo 10 tonnellate di mine e fecero saltare la montagna; sotto quella montagna si trovano ancora oggi i resti di oggetti e tutti gli uomini lì sotto sono stati dati per dispersi.
La zona di guerra dove ci furono più morti fu il Carso, al confine tra il Friuli Venezia Giulia e la Slovenia. Le battaglie su queste montagne non servirono a niente, solo a fare tanti morti.

Ci ha raccontato di una guida alpina che fu colpita da un fulmine che gli trapassò dalla spalla sinistra al piede destro; quando il compagno si accorse che era stato fulminato, lo prese delicatamente e lo tenne in vita tutta la notte sulla montagna; il giorno dopo lo mise sopra una teleferica e lo mandò a valle;  i cecchini, vedendo un corpo sopra essa, non spararono, perché videro un corpo ferito, perché fra nemici ci si rispettava e si aveva rispetto per chi stava male. Quella guida sopravvisse ma, dopo le medicazioni, il dottore gli disse "non puoi più fare la guida alpina ". 

Nella guerra si usavano molte armi. 
Una era il gas mostarda, chiamato così perché era giallo, penetrava sotto ai vestiti e bruciava la pelle. Contro quel gas non servivano neanche le maschere. 



C'erano anche i gas lacrimogeni.
maschera antigas

reperto di lacrimogeno



 Le baionette erano più alte del signor Montini. I soldati italiani usavano il modello 91 che ha un colpo e sopra i soldati incastravano un pugnale e lo usavano come una lancia. 
A volte come arma bianca usavano un badiletto 
badiletto austriaco

a cui affilavano molto bene i bordi. 
Gli italiani avevano in dotazione 6 proiettili, perché erano più piccoli e quindi avevano un colpo in più nel caricatore.
C'erano cannoni, mortai e obici. Per caricare l'obice Skoda, che aveva un diametro di 305 millimetri, si impiegava un giorno e il proiettile poteva volare fino a 30 chilometri di distanza e distruggeva tutto in mille pezzi. Ecco perché tanti soldati furono dichiarati "dispersi", perché di loro non si trovava più nulla.
Le mitragliatrici venivano messe di traverso e sparavano d'infilata perché così potevano uccidere con un colpo circa dieci uomini. 

C'era un tipo di trincea chiamata trincea a greca che serviva per difendersi dai colpi di obice, perché se atterrava un colpo da una parte i soldati dall'altra parte non lo subivano. 
mitragliatrice che spara d'infilata

La terra in mezzo alle due trincee veniva chiamata terra di nessuno.


Trincea a greca




Oggi molta gente usa l'espressione "avere le palle girate". Questo modo di dire non è una parolaccia ma arriva dalla guerra: avere le palle girate vuole dire aver caricato la pallottola girata al contrario, che esplodendo non solo ferisce, ma può essere devastante ed è vietata.
Il nemico bisognava fare in modo che non potesse combattere, ma non distruggergli la vita. 

Paolo ha portato molti reperti e ce li ha mostrati e lasciati toccare alla fine della lezione. 


scatola di sardine austriaca


C'erano caschi austriaci  e Italiani, una bomba difensiva i cui frammenti potevano arrivare a 40 metri, mentre quella offensiva faceva partire le schegge a non più di 5 metri e a volte era l'esplosione la cosa più dannosa per l'udito.


elmetti austriaco e italiano


granate

gavetta austriaca
Abbiamo visto i due caricatori, uno italiano con 6 proiettili e uno austriaco con 5, il filtro della maschera antigas, le gavette degli italiani e dei nemici, un lacrimogeno e due bailetti. 


Alla fine ci ha letto  l'ultima lettera di un tenente che stava per andare a combattere nella battaglia dell'Ortigara e aveva paura di morire, così aveva scritto quella lettera ai suoi famigliari dicendo loro addio.
Durante la lettera Paolo si è messo a piangere dalla commozione e ha continuato la maestra, ma anche lei ha fatto un po' fatica. 
Lui ha detto che si è commosso perché noi che siamo piccoli gli siamo sembrati proprio i fratelli di quel tenente.

A noi questo incontro è piaciuto molto perché ci ha insegnato molte cose nuove che non sapevamo e abbiamo capito meglio cose su cui eravamo un po' incerti. E' stato bello incontrare e conoscere una nuova persona così appassionata di storia. 
Abbiamo capito quale è la vera sofferenza, non certo i nostri piccoli problemi.





La lettera in questione è pubblicata sul sito www.fortunatogaltieri.it. Per trovarla cercare nel blog "Lettera-testamento".

venerdì 11 marzo 2016

Bambini e guerra

In questo post abbiamo cercato di focalizzare la nostra attenzione sull'argomento "bambini e guerre" rispetto a tutto quello che abbiamo studiato, le situazioni che abbiamo vissuto. Nonostante credessimo all'inizio che fosse un titolo impossibile, in realtà ci siamo accorti che, non solo è un argomento molto frequente nella storia, ma lo è anche nel mondo di oggi. 
I nostri pensieri sono scritti in corsivo, ciò che abbiamo letto e studiato, in caratteri normali. 

L'educazione a Sparta (tra il VI e il IV secolo a.C)

Studiando l'antica Grecia abbiamo scoperto che il popolo di Sparta era molto bellicoso e educava i bambini alla guerra.
Gli spartiati, che erano i cittadini più potenti della città, venivano educati fin da piccoli per diventare guerrieri. A sette anni venivano allontanati dalla madre e cominciavano il  loro percorso di soldato. Gli spartiati per ampliare il loro dominio sulle terre circostanti dovettero  educare i figli a combattere. Il neonato doveva essere consegnato agli anziani  della tribù prima di essere accettato nella comunità. Essi esaminavano il neonato: se era ben fatto e vigoroso ordinavano  di crescerlo, se era deformato e gracile, lo buttavano dal monte Taigeto.
I maschi fino a sette anni restavano in famiglia, ma non nel gineceo, allevati da nutrici famose in tutta la Grecia per la loro severità; venivano abituati a non temere né le  tenebre,  né la solitudine e a non fare capricci.
A sette anni il giovane era "assunto"  dallo stato, in cui restava fino alla morte; veniva posto sotto la custodia di un educatore che ne aveva la responsabilità fino a che il bambino non compiva 12 anni.. Era inquadrato in rigide formazioni di tipo militare: dagli otto agli undici anni era "lupetto",  dai dodici ai quindici "ragazzo"; infine, dai sedici ai venti i "irèn".

Iren spartiato
A tutti veniva rasata la testa, li abituavano a camminare scalzi e a giocare nudi, ma soprattutto ad ubbidire, a sopportare la fatica e a desiderare la vittoria. A dodici anni  ricevevano un mantello e dormivano con i soldati effettivi. Per qualsiasi colpa, anche lieve, venivano crudelmente frustati.
Tutta la loro educazione si fondava sugli esercizi fisici e sulla addestramento alla guerra, l' unica arte insegnata era la musica perché accompagnava le marce militari. A vent'anni venivano reclutati nell'esercito attivo.
A un certo punto dell'addestramento i giovani dovevano affrontare una prova di sopravvivenza chiamata "criptia": venivano lasciati per un mese a vivere da soli e nascosti nelle campagne della Laconia. Era un addestramento pratico alla guerriglia che richiedeva astuzia e determinazione. Dovevano uccidere almeno un ilota (schiavi) che incontravano nelle campagne.


Criptia dei giovani spartiati
Al pari dei maschi, le ragazze erano addestrate alla guerra e praticavano molti sport. Non erano tenute a saper filare  e tessere perché tutti i lavori domestici erano compito dalle schiave.    


Soldato greco con giavellotto
L'educazione nell'antica Roma 
(I sec. a.C.) 


Nell'antica Roma invece i bambini non venivano addestrati a diventare soldati, ma i figli dei soldati imparavano dal padre a maneggiare le armi perché lui stesso insegnava loro a usarle.
                                
L'educazione dei bambini nel ventennio fascista (1923-1943)


Dai registri della scuola elementare di Scopello del 1929, abbiamo appreso che gli alunni, dopo che la nostra Italia vinse la Prima Guerra Mondiale, parlavano moltissimo della Vittoria e festeggiavano il 4 Novembre proprio come "Il giorno della Vittoria" e non come facciamo oggi "La Commemorazione dei Caduti". 
Qualche settimana fa, a febbraio, la maestra ci ha chiesto: "Ma secondo voi dopo la prima Prima Guerra Mondiale ne parlavano a scuola?" Alcuni di noi hanno risposto SI (3 bambini), altri NO (6 bambini), perché essendo la guerra un brutto ricordo noi pensavamo che volessero dimenticare. Magari alcuni bambini erano orfani di padre, magari alcuni non lo avevano nemmeno conosciuto. Leggendo il registro che la maestra ha trovato nell'Archivio di Varallo, abbiamo scoperto che la risposta era SI, anzi esaltavano la vittoria. In quel periodo in Italia comandava Benito Mussolini che era Primo Ministro e si faceva chiamare "Duce". Lui dichiarò tante guerre all'Africa e un giorno da un balcone disse che i bambini sarebbero diventati i futuri soldati e decise di creare una divisa per i maschi e per le femmine. I bambini di otto anni entravano nell'Opera Balilla e le bambine nelle Piccole Italiane. Bambini e bambine, maschi e femmine, erano divisi nelle scuole, soprattutto quelle delle città. Qui a Scopello invece stavano tutti insieme. Già da bambini giocavano alla guerra Italiani contro Libici; gli Italiani erano di solito i bambini delle famiglie più ricche che potevano permettersi di comprare la divisa da Balilla ai propri figli, mentre i più poveri, che potevano anche non avere la divisa da Balilla perché erano molto costose, venivano presi in giro; allora prendevano la cenere dai camini e si coloravano la faccia per sembrare africani. Vincevano sempre i poveri perché erano più veloci, furbi e usavano armi più semplici e leggere rispetto ai fucili giocattolo pesanti che i bambini ricchi ricevevano dai loro genitori. A vedere le immagini delle scuole di quel tempo, notiamo che i bambini sono scolari perfetti: stanno fermi, sono tutti ordinati, sembrano tutti zitti. I bambini indossavano il grembiule azzurro o nero, con il colletto bianco e il fiocco. Erano molto ordinati e lo indossavano per non sporcarsi; sulla manica c'era segnata la classe di appartenenza con delle striscette che assomigliavano ai gradi militari. I Balilla si vergognavano di portare il grembiule lungo a volte, perché sembrava una gonna; allora se lo infilavano nei pantaloni e toglievano il colletto, che a volte era anche ricamato. Nelle grandi scuole se un Balilla parlava con una Piccola Italiana poteva essere punito. In tutte le classi c'erano i ritratti del Duce e del Re.
Le piccole Italiane erano vestite con una gonna nera, una camicetta bianca e i guanti bianchi. Le bambine imparavano tutti i mestieri che potevano servire dietro il fronte, come cucire, tessere, cucinare. Quando diventavano grandi erano pronte per andare a fare le volontarie in ospedale in caso di guerra.

Disegno della divisa di una Piccola Italiana

I bambini più piccoli erano chiamati "Figli della lupa" e quelli più grandi "Avanguardisti". Il primo regalo che ricevevano i bambini era... un bel fucile giocattolo proprio uguale a quelli veri.

Disegno di bambino vestito da figlio della lupa 
C'erano anche dei giornali fatti apposta per i bambini come "Il Balilla".


Disegno di bambini che leggono la rivista "Il Balilla" 

Per noi è interessante confrontare Renzi con Mussolini: Renzi decide una cosa e la manda al Parlamento e il Parlamento approva oppure nega; Mussolini invece decideva una cosa e quella cosa rimaneva. Dopo la Seconda Guerra Mondiale fu scritta la Costituzione Italiana e lì c'è scritto che l'Italia ripudia la guerra. Secondo noi non è che dovrebbe essere proprio come quando c'era il Duce, ma le leggi dovrebbero essere un po' più severe.

I bambini soldato (età contemporanea)

Cercando sul sito dell'Unicef abbiamo trovato informazioni sui cosiddetti "bambini soldato" di oggi. Secondo l'Unicef  300.000 sono i bambini in guerra, tutti minori di 18 anni. Centinaia di migliaia di ragazzini minori sono sia negli eserciti governativi, sia negli eserciti di opposizione. La maggioranza di ragazzini soldato sono fra i 15 e i 18 anni, ma ci sono anche reclute di 10 anni. Il problema maggiore è in Africa e in Asia, dove sono più di 120.000 i soldati minorenni, ma il problema c'è anche in America ed Europa. Parecchi stati reclutano minorenni nelle forze armate. A noi dispiace per quei ragazzini in guerra. 
Se guardiamo con le percentuali, i bambini soldato di oggi  sono più del 10%.
Bambino con il lancia razzi
Secondo noi gli adulti reclutano minorenni perché:
-  i bambini sono meno importanti e se si perdono dei bambini è meno grave che perdere degli adulti;
- quando non ci sono più maggiorenni da reclutare negli eserciti, si va a scegliere fra i minorenni. Secondo noi si va a scalare dai diciotto anni indietro;
-  di generazione in generazione si insegna ai bambini a essere bellicosi, così poi loro lo insegneranno ai loro figli;
- in molti casi sono i bambini che vogliono emulare i genitori;
- può essere che un figlio voglia aiutare il padre che sta combattendo;
- molti vogliono andare a combattere per vendetta perché qualcuno ha ucciso loro un parente;
- perché chi addestra i bambini sa che dall’altra parte il nemico magari non li uccide perché sembrano piccoli, indifesi e innocui e quindi dei bambini partono in vantaggio.

Profughi sul gommone



I bambini che fuggono dalle guerre (età contemporanea)

Al giorno d'oggi i Paesi che sono in guerra sono molti e gli abitanti sono costretti a scappare e rifugiarsi in altri Paesi. Al telegiornale sentiamo tutti i giorni parlare di profughi, migranti che fuggono e cercano di arrivare in Europa. Moltissimi di loro sono bambini. 
Profughi nelle tendopoli

Salvataggio di bambini da un gommone di migranti

Bibliografia
  • "Gli antichi greci" a cura di Giovanni Caselli Ed. Giunti Marzocco, 1990.
  • "Sette colli e un impero I ROMANI" Ed. Fabbri Editori, 1993, collana I popoli del passato, Autore Charles Guittard.
  • La vita quotidiana degli italiani durante il fascismo  raccontata da Gian Franco Venè a cura di Giordano Bruno Guerri Ed. Arnoldo Mondadori Editore  Agosto 1995 collana Storia Illustrata.
  • http://www.volint.it/scuolevis/ Sito di VIS, Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, sezione didattica.