mercoledì 30 marzo 2016

Incontro in classe con un esperto

Venerdì 18 marzo 2016, è venuto a trovarci in classe uno studioso valsesiano che fa parte dell'associazione "Cimeetrincee" di Venezia. Lo studioso si chiama Paolo Montini, secondo noi ha tra i 45 e i 50 anni, lavora all'azienda tessile Loro Piana di Quarona. 




Ci ha raccontato vicende vissute dai soldati nella Prima Guerra Mondiale, ci ha spiegato come si sono svolte alcune battaglie e come funzionavano gli oggetti e ci ha  portato dei reperti trovati proprio dove si è combattuta la guerra. Certi li ha proprio trovati lui durante le sue escursioni, certi gli sono stati dati dall'associazione a cui appartiene. Per lui era la prima volta che andava a parlare in una scuola elementare, perché di solito si reca nelle scuole secondarie a incontrare studenti più grandi di noi.
Per parlare si aiutava con una presentazione fotografica e con schemi. 
Come prima cosa ci ha raccontato di Claudino, il suo bisnonno. Egli aveva partecipato alla guerra e scriveva spesso a casa. Lui sapeva scrivere, ma molti soldati non erano capaci. In ogni lettera che scriveva le prime due parole erano: "carissima moglie" e quindi il suo pronipote, cioè Paolo Montini, ha intitolato il suo primo libro "Carissima moglie", dove ha messo in ordine tutte le lettere del bisnonno. Ci ha fatto vedere le lettere originali del suo bisnonno con le buste. Nelle lettere c'era la censura (una riga di inchiostro nera) quando scrivevano qualcosa che a casa non bisognava sapere, ma a volte le lettere riuscivano a passare. Siccome tantissimi scrivevano a casa e non avevano abbastanza soldi per pagare la spedizione, il comando mise la "franchigia", cioè la possibilità di inviare cartoline gratuite.  
Il suo bisnonno morì mentre faceva la barba agli altri per guadagnare qualche lira e centesimi; gli arrivò un proiettile di obice sulla tenda.
E' stato dato per disperso e non più trovato. 

La Prima Guerra Mondiale è chiamata da tanti "Grande guerra" perché fu "grande" in molti sensi: 5 milioni di soldati al fronte, tanti Stati coinvolti, tantissimi morti e dispersi, tantissima sofferenza, una guerra moderna combattuta in modo molto diverso dalle precedenti, con aerei, mitragliatrici, bombe, cannoni nuovissimi, carri armati, tantissimi chilometri di fronte di battaglia, 600 solo per quello fra Italia e Austria, l'uso dei gas... 

Uno dei luoghi di cui ha parlato è il monte Pasubio che si trova sul fronte tra Veneto e Trentino, dove sono morti 1000 soldati alpini. Gli italiani non riuscivano a conquistarla e quindi decisero di usare una trivella per scavare sotto le trincee nemiche. Dentro al buco che avevano fatto avevano messo 10 tonnellate di mine e fecero saltare la montagna; sotto quella montagna si trovano ancora oggi i resti di oggetti e tutti gli uomini lì sotto sono stati dati per dispersi.
La zona di guerra dove ci furono più morti fu il Carso, al confine tra il Friuli Venezia Giulia e la Slovenia. Le battaglie su queste montagne non servirono a niente, solo a fare tanti morti.

Ci ha raccontato di una guida alpina che fu colpita da un fulmine che gli trapassò dalla spalla sinistra al piede destro; quando il compagno si accorse che era stato fulminato, lo prese delicatamente e lo tenne in vita tutta la notte sulla montagna; il giorno dopo lo mise sopra una teleferica e lo mandò a valle;  i cecchini, vedendo un corpo sopra essa, non spararono, perché videro un corpo ferito, perché fra nemici ci si rispettava e si aveva rispetto per chi stava male. Quella guida sopravvisse ma, dopo le medicazioni, il dottore gli disse "non puoi più fare la guida alpina ". 

Nella guerra si usavano molte armi. 
Una era il gas mostarda, chiamato così perché era giallo, penetrava sotto ai vestiti e bruciava la pelle. Contro quel gas non servivano neanche le maschere. 



C'erano anche i gas lacrimogeni.
maschera antigas

reperto di lacrimogeno



 Le baionette erano più alte del signor Montini. I soldati italiani usavano il modello 91 che ha un colpo e sopra i soldati incastravano un pugnale e lo usavano come una lancia. 
A volte come arma bianca usavano un badiletto 
badiletto austriaco

a cui affilavano molto bene i bordi. 
Gli italiani avevano in dotazione 6 proiettili, perché erano più piccoli e quindi avevano un colpo in più nel caricatore.
C'erano cannoni, mortai e obici. Per caricare l'obice Skoda, che aveva un diametro di 305 millimetri, si impiegava un giorno e il proiettile poteva volare fino a 30 chilometri di distanza e distruggeva tutto in mille pezzi. Ecco perché tanti soldati furono dichiarati "dispersi", perché di loro non si trovava più nulla.
Le mitragliatrici venivano messe di traverso e sparavano d'infilata perché così potevano uccidere con un colpo circa dieci uomini. 

C'era un tipo di trincea chiamata trincea a greca che serviva per difendersi dai colpi di obice, perché se atterrava un colpo da una parte i soldati dall'altra parte non lo subivano. 
mitragliatrice che spara d'infilata

La terra in mezzo alle due trincee veniva chiamata terra di nessuno.


Trincea a greca




Oggi molta gente usa l'espressione "avere le palle girate". Questo modo di dire non è una parolaccia ma arriva dalla guerra: avere le palle girate vuole dire aver caricato la pallottola girata al contrario, che esplodendo non solo ferisce, ma può essere devastante ed è vietata.
Il nemico bisognava fare in modo che non potesse combattere, ma non distruggergli la vita. 

Paolo ha portato molti reperti e ce li ha mostrati e lasciati toccare alla fine della lezione. 


scatola di sardine austriaca


C'erano caschi austriaci  e Italiani, una bomba difensiva i cui frammenti potevano arrivare a 40 metri, mentre quella offensiva faceva partire le schegge a non più di 5 metri e a volte era l'esplosione la cosa più dannosa per l'udito.


elmetti austriaco e italiano


granate

gavetta austriaca
Abbiamo visto i due caricatori, uno italiano con 6 proiettili e uno austriaco con 5, il filtro della maschera antigas, le gavette degli italiani e dei nemici, un lacrimogeno e due bailetti. 


Alla fine ci ha letto  l'ultima lettera di un tenente che stava per andare a combattere nella battaglia dell'Ortigara e aveva paura di morire, così aveva scritto quella lettera ai suoi famigliari dicendo loro addio.
Durante la lettera Paolo si è messo a piangere dalla commozione e ha continuato la maestra, ma anche lei ha fatto un po' fatica. 
Lui ha detto che si è commosso perché noi che siamo piccoli gli siamo sembrati proprio i fratelli di quel tenente.

A noi questo incontro è piaciuto molto perché ci ha insegnato molte cose nuove che non sapevamo e abbiamo capito meglio cose su cui eravamo un po' incerti. E' stato bello incontrare e conoscere una nuova persona così appassionata di storia. 
Abbiamo capito quale è la vera sofferenza, non certo i nostri piccoli problemi.





La lettera in questione è pubblicata sul sito www.fortunatogaltieri.it. Per trovarla cercare nel blog "Lettera-testamento".

venerdì 11 marzo 2016

Bambini e guerra

In questo post abbiamo cercato di focalizzare la nostra attenzione sull'argomento "bambini e guerre" rispetto a tutto quello che abbiamo studiato, le situazioni che abbiamo vissuto. Nonostante credessimo all'inizio che fosse un titolo impossibile, in realtà ci siamo accorti che, non solo è un argomento molto frequente nella storia, ma lo è anche nel mondo di oggi. 
I nostri pensieri sono scritti in corsivo, ciò che abbiamo letto e studiato, in caratteri normali. 

L'educazione a Sparta (tra il VI e il IV secolo a.C)

Studiando l'antica Grecia abbiamo scoperto che il popolo di Sparta era molto bellicoso e educava i bambini alla guerra.
Gli spartiati, che erano i cittadini più potenti della città, venivano educati fin da piccoli per diventare guerrieri. A sette anni venivano allontanati dalla madre e cominciavano il  loro percorso di soldato. Gli spartiati per ampliare il loro dominio sulle terre circostanti dovettero  educare i figli a combattere. Il neonato doveva essere consegnato agli anziani  della tribù prima di essere accettato nella comunità. Essi esaminavano il neonato: se era ben fatto e vigoroso ordinavano  di crescerlo, se era deformato e gracile, lo buttavano dal monte Taigeto.
I maschi fino a sette anni restavano in famiglia, ma non nel gineceo, allevati da nutrici famose in tutta la Grecia per la loro severità; venivano abituati a non temere né le  tenebre,  né la solitudine e a non fare capricci.
A sette anni il giovane era "assunto"  dallo stato, in cui restava fino alla morte; veniva posto sotto la custodia di un educatore che ne aveva la responsabilità fino a che il bambino non compiva 12 anni.. Era inquadrato in rigide formazioni di tipo militare: dagli otto agli undici anni era "lupetto",  dai dodici ai quindici "ragazzo"; infine, dai sedici ai venti i "irèn".

Iren spartiato
A tutti veniva rasata la testa, li abituavano a camminare scalzi e a giocare nudi, ma soprattutto ad ubbidire, a sopportare la fatica e a desiderare la vittoria. A dodici anni  ricevevano un mantello e dormivano con i soldati effettivi. Per qualsiasi colpa, anche lieve, venivano crudelmente frustati.
Tutta la loro educazione si fondava sugli esercizi fisici e sulla addestramento alla guerra, l' unica arte insegnata era la musica perché accompagnava le marce militari. A vent'anni venivano reclutati nell'esercito attivo.
A un certo punto dell'addestramento i giovani dovevano affrontare una prova di sopravvivenza chiamata "criptia": venivano lasciati per un mese a vivere da soli e nascosti nelle campagne della Laconia. Era un addestramento pratico alla guerriglia che richiedeva astuzia e determinazione. Dovevano uccidere almeno un ilota (schiavi) che incontravano nelle campagne.


Criptia dei giovani spartiati
Al pari dei maschi, le ragazze erano addestrate alla guerra e praticavano molti sport. Non erano tenute a saper filare  e tessere perché tutti i lavori domestici erano compito dalle schiave.    


Soldato greco con giavellotto
L'educazione nell'antica Roma 
(I sec. a.C.) 


Nell'antica Roma invece i bambini non venivano addestrati a diventare soldati, ma i figli dei soldati imparavano dal padre a maneggiare le armi perché lui stesso insegnava loro a usarle.
                                
L'educazione dei bambini nel ventennio fascista (1923-1943)


Dai registri della scuola elementare di Scopello del 1929, abbiamo appreso che gli alunni, dopo che la nostra Italia vinse la Prima Guerra Mondiale, parlavano moltissimo della Vittoria e festeggiavano il 4 Novembre proprio come "Il giorno della Vittoria" e non come facciamo oggi "La Commemorazione dei Caduti". 
Qualche settimana fa, a febbraio, la maestra ci ha chiesto: "Ma secondo voi dopo la prima Prima Guerra Mondiale ne parlavano a scuola?" Alcuni di noi hanno risposto SI (3 bambini), altri NO (6 bambini), perché essendo la guerra un brutto ricordo noi pensavamo che volessero dimenticare. Magari alcuni bambini erano orfani di padre, magari alcuni non lo avevano nemmeno conosciuto. Leggendo il registro che la maestra ha trovato nell'Archivio di Varallo, abbiamo scoperto che la risposta era SI, anzi esaltavano la vittoria. In quel periodo in Italia comandava Benito Mussolini che era Primo Ministro e si faceva chiamare "Duce". Lui dichiarò tante guerre all'Africa e un giorno da un balcone disse che i bambini sarebbero diventati i futuri soldati e decise di creare una divisa per i maschi e per le femmine. I bambini di otto anni entravano nell'Opera Balilla e le bambine nelle Piccole Italiane. Bambini e bambine, maschi e femmine, erano divisi nelle scuole, soprattutto quelle delle città. Qui a Scopello invece stavano tutti insieme. Già da bambini giocavano alla guerra Italiani contro Libici; gli Italiani erano di solito i bambini delle famiglie più ricche che potevano permettersi di comprare la divisa da Balilla ai propri figli, mentre i più poveri, che potevano anche non avere la divisa da Balilla perché erano molto costose, venivano presi in giro; allora prendevano la cenere dai camini e si coloravano la faccia per sembrare africani. Vincevano sempre i poveri perché erano più veloci, furbi e usavano armi più semplici e leggere rispetto ai fucili giocattolo pesanti che i bambini ricchi ricevevano dai loro genitori. A vedere le immagini delle scuole di quel tempo, notiamo che i bambini sono scolari perfetti: stanno fermi, sono tutti ordinati, sembrano tutti zitti. I bambini indossavano il grembiule azzurro o nero, con il colletto bianco e il fiocco. Erano molto ordinati e lo indossavano per non sporcarsi; sulla manica c'era segnata la classe di appartenenza con delle striscette che assomigliavano ai gradi militari. I Balilla si vergognavano di portare il grembiule lungo a volte, perché sembrava una gonna; allora se lo infilavano nei pantaloni e toglievano il colletto, che a volte era anche ricamato. Nelle grandi scuole se un Balilla parlava con una Piccola Italiana poteva essere punito. In tutte le classi c'erano i ritratti del Duce e del Re.
Le piccole Italiane erano vestite con una gonna nera, una camicetta bianca e i guanti bianchi. Le bambine imparavano tutti i mestieri che potevano servire dietro il fronte, come cucire, tessere, cucinare. Quando diventavano grandi erano pronte per andare a fare le volontarie in ospedale in caso di guerra.

Disegno della divisa di una Piccola Italiana

I bambini più piccoli erano chiamati "Figli della lupa" e quelli più grandi "Avanguardisti". Il primo regalo che ricevevano i bambini era... un bel fucile giocattolo proprio uguale a quelli veri.

Disegno di bambino vestito da figlio della lupa 
C'erano anche dei giornali fatti apposta per i bambini come "Il Balilla".


Disegno di bambini che leggono la rivista "Il Balilla" 

Per noi è interessante confrontare Renzi con Mussolini: Renzi decide una cosa e la manda al Parlamento e il Parlamento approva oppure nega; Mussolini invece decideva una cosa e quella cosa rimaneva. Dopo la Seconda Guerra Mondiale fu scritta la Costituzione Italiana e lì c'è scritto che l'Italia ripudia la guerra. Secondo noi non è che dovrebbe essere proprio come quando c'era il Duce, ma le leggi dovrebbero essere un po' più severe.

I bambini soldato (età contemporanea)

Cercando sul sito dell'Unicef abbiamo trovato informazioni sui cosiddetti "bambini soldato" di oggi. Secondo l'Unicef  300.000 sono i bambini in guerra, tutti minori di 18 anni. Centinaia di migliaia di ragazzini minori sono sia negli eserciti governativi, sia negli eserciti di opposizione. La maggioranza di ragazzini soldato sono fra i 15 e i 18 anni, ma ci sono anche reclute di 10 anni. Il problema maggiore è in Africa e in Asia, dove sono più di 120.000 i soldati minorenni, ma il problema c'è anche in America ed Europa. Parecchi stati reclutano minorenni nelle forze armate. A noi dispiace per quei ragazzini in guerra. 
Se guardiamo con le percentuali, i bambini soldato di oggi  sono più del 10%.
Bambino con il lancia razzi
Secondo noi gli adulti reclutano minorenni perché:
-  i bambini sono meno importanti e se si perdono dei bambini è meno grave che perdere degli adulti;
- quando non ci sono più maggiorenni da reclutare negli eserciti, si va a scegliere fra i minorenni. Secondo noi si va a scalare dai diciotto anni indietro;
-  di generazione in generazione si insegna ai bambini a essere bellicosi, così poi loro lo insegneranno ai loro figli;
- in molti casi sono i bambini che vogliono emulare i genitori;
- può essere che un figlio voglia aiutare il padre che sta combattendo;
- molti vogliono andare a combattere per vendetta perché qualcuno ha ucciso loro un parente;
- perché chi addestra i bambini sa che dall’altra parte il nemico magari non li uccide perché sembrano piccoli, indifesi e innocui e quindi dei bambini partono in vantaggio.

Profughi sul gommone



I bambini che fuggono dalle guerre (età contemporanea)

Al giorno d'oggi i Paesi che sono in guerra sono molti e gli abitanti sono costretti a scappare e rifugiarsi in altri Paesi. Al telegiornale sentiamo tutti i giorni parlare di profughi, migranti che fuggono e cercano di arrivare in Europa. Moltissimi di loro sono bambini. 
Profughi nelle tendopoli

Salvataggio di bambini da un gommone di migranti

Bibliografia
  • "Gli antichi greci" a cura di Giovanni Caselli Ed. Giunti Marzocco, 1990.
  • "Sette colli e un impero I ROMANI" Ed. Fabbri Editori, 1993, collana I popoli del passato, Autore Charles Guittard.
  • La vita quotidiana degli italiani durante il fascismo  raccontata da Gian Franco Venè a cura di Giordano Bruno Guerri Ed. Arnoldo Mondadori Editore  Agosto 1995 collana Storia Illustrata.
  • http://www.volint.it/scuolevis/ Sito di VIS, Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, sezione didattica.